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Un'Equilibrata Incoerenza

Daniele Brolli?

Nel suo ricordo della San Francisco nel 1966, Keith Abbott ricorda che Richard Brautigan teneva appeso il rendiconto del suo primo romanzo pubblicato, A Confederate General from Big Sur, sulla tazza del cesso: 743 copie vendute. Abbott rimase sorpreso dall’estrema povertà di Brautigan, e dalla sua determinazione a non ricorrere, per garantirsi sostentamento e sopravvivenza, a nessun lavoro diverso dalla scrittura.

Nel 1975, quando la notorietà e il benessere economico erano già arrivati, scrisse un’introduzione all’edizione definitiva della raccolta dei testi delle canzoni dei Beatles. Poche righe che lasciavano spazio alle parole di "Eleanor Rigby". Perché nel testo dei Fab Four rintracciava una sintonia con quanto era, dal suo punto di vista, uno dei noccioli della sua scrittura. Iniziava raccontando di un’inondazione avvenuta quello stesso anno nei posti in cui viveva, nel Montana. L’acqua del fiume Yellowstone aveva invaso la piana e le case emergevano nella loro infinita solitudine. Posti in cui la gente aveva vissuto, osservava Brautigan, ridendo, piangendo, amando e, alla fine, morendo solo pochi giorni prima di divenire parte del paesaggio immobile. Mentre percorreva in auto la strada che attraversava la vastità desolata, era ossessionato da una frase: "il silenzio di case inondate". Poi il testo di "Eleanor Rigby" con il suo abisso di eremitaggio dei desideri e delle speranze di vite inespresse, per arrivare alla conclusione che molte canzoni contenute nel volume potevano essere descritte come "il silenzio di case inondate".

Due esempi per alcune premesse generali su Brautigan, semplici e inevitabili: non conosceva altra forma di partecipazione al mondo che non passasse dalla scrittura; la sua era una scrittura "naturale" che, per un accidente legato alla sua interiorità, giocava sulla contraddizione in termini di una "complessa semplicità", definibile anche viceversa. Nel senso che il livello dell’intuizione rende i testi di Brautigan non case immerse in un’alluvione, ma grattacieli di cui emerge solo l’ultimo piano. Tutto il resto è considerato superfluo dall’autore, non rilevante, e riesce a fissarsi nell’immaginario del lettore per vie inconsapevoli e periferiche. La molteplicità di livelli di lettura deve essere percepita attraverso il vuoto e non con la complessità strutturata di strumenti critici. Brautigan era zen ancor prima di dichiararsi tale con l’evidenza dei racconti di The Tokyo-Montana Express.

Ma le case che emergono dall’acqua sono anche la solitudine profonda di Brautigan. È persino una forzatura ricondurlo come autore alla beat generation, pur essendone contemporaneo. Senza occuparsi di questioni biografiche, è opportuno precisare che, malgrado i suoi libri siano stati tra i nutrimenti della cultura hippy, il suo percorso di narratore imita il sostanziale isolamento della sua vita, naturalistico e intriso di disubbidienza civile, fino alla morte, come quello di un moderno Henry David Thoreau. Il mito, come ha scritto Roland Barthes, non è naturale, non è espressione inevitabile di un contesto, eppure, una volta resosi riconoscibile, acquisita un’incontestabile evidenza, entra in sintonia con le cose, e "diventa" naturale. Una delle proprietà dei testi di Brautigan è proprio quella di avere una forte coincidenza con la contemporaneità senza essersi mai confrontati con l’attualità. Si tratta di intuizione.

Kurt Vonnegut? sostiene che i narratori sono delle buone antenne riceventi, che hanno il compito di catalizzare le voci del proprio tempo e di rielaborarle in forma romanzesca, di costruire forme di intrattenimento che raccontano una versione implicita del mondo che appartiene al lettore stesso. Si torna così idealmente alle origini, al racconto orale, a una visione non gerarchica della letteratura. Brautigan è un narratore particolare che dopo aver brevemente ricostruito un mito possibile dell’America con Trout Fishing in America, quasi una parodia della "wilderness" di Thoreau, si è avvicinato all’infanzia della letteratura, alle sue forme regressive, pasticciando con la popular culture americana, con i sedimenti della storia del pensiero occidentale e poi con la percezione del vuoto di quello orientale.

Un’equilibrata incoerenza che inserisce Brautigan a pieno titolo, e con ben poca intenzionalità, all’interno dei narratori postmoderni americani. Anche se è paradossale che tra i primi ad accorgersi del collasso della tradizionale suddivisione dei generi letterari, sia stato un autore estraneo a qualsiasi appartenenza letteraria come lui.

La sua operazione di convergenza e collisione tra i diversi generi ha origine da un processo di decostruzione che, come afferma Marc Chénetier? nel suo volume saggio su Brautigan del 1983, coinvolge i tre elementi fondamentali del testo:intreccio, personaggi e struttura. Scrittori come Donald Barthelme o Gilbert Sorrentino lavoravano in quegli stessi anni sulla fisicità "testuale" della scrittura, da opporsi all’effimera volatilità della cultura "sintattica". Nell’azzardato laboratorio dei loro romanzi facevano confluire segmenti di testo provenienti dai più disparati ambiti della popular culture, con risultati che declinavano la contaminazione nei termini della parodia. Nel frattempo John Barth o Thomas Pynchon si occupavano di disgregare la struttura del racconto per raggiungere una complessa versione della "differenza", qualcosa che si allontanasse dalla presenza schiacciante del canone letterario. Vie di fuga, sperimentazioni divenute in alcuni casi puro e semplice materiale d’uso che hanno modificato il percorso della letteratura americana.Richard Brautigan (al pari forse del solo Kurt Vonnegut, il cui percorso parte però dalla fantascienza, cioè dall’interno stesso di uno dei generi della narrativa popolare americana...) ha lavorato nella stessa direzione ma con un approccio intuitivo, non mediato da analisi ed elaborazioni intenzionali. Il suo lavoro è più simile, nella sua spontaneità, alla nascita delle lingue creole nelle metropoli, incontro tra lingue d’origine, lingua adottiva ed esperienza quotidiana, di cui proprio in quell’epoca (sul finire degli anni Sessanta) davano testimonianza i sociolinguisti. È la fusione impossibile tra il presente e la fiction più pura.

Un romanzo storico del contemporaneo, The Abortion; un western gotico, The Hawkline Monster; un giallo perverso, Willard and His Bowling Trophies... alcuni esempi di contaminazione dichiarata fin dal sottotitolo, in cui le macchinazioni narrative tipiche dei generi fondono elementi disparati in un unico, logico, tessuto testuale.

Nel suo processo di decostruzione Brautigan utilizza le procedure tipiche della letteratura popolare, soprattutto ellissi temporale e ridondanza, e imprigiona i personaggi legandoli al loro ruolo. Pur senza abbeverarsi alle teorie dell’oggettività del nouveau roman, li allontana da ogni supposto realismo e dall’equivoco della profondità psicologica. In Willard infatti i protagonisti sono funzioni del testo, tanto da essere definiti spesso attraverso l’azione che compiono. Un processo in cui incorpora un linguaggio che ha le radici affondate nella cultura popolare americana del Novecento: il fumetto. Tra le soluzioni narrative prese in prestito, una delle figure retoriche del linguaggio fumettistico, l’onomatopea, con il "ring" telefonico, è per esempio quella identificabile con maggiore facilità. Più sostanziale e strategico il modo in cui Brautigan utilizza la struttura diegetica del fumetto: procedendo per immagini, quasi si trattasse di vignette, che a volte coincidono con la (breve) estensione dei capitoli. Un procedimento che avvalora la sua tendenza alla frammentazione, e in cui c’è perfetta coincidenza tra struttura e materiali narrativi. In Willard i frammenti sono le due citazioni che precedono il romanzo, Anacreonte e Frank Church, che alla fine si incontrano in un mortale confronto tra epigrammatica greca e brutalità americana. E sono anche i titoli che producono una struttura circolare del tutto autonoma, priva di riscontro puntuale nel testo, che finisce per diventare un’eco senza origine...

La costruzione a chiave del romanzo (simulata, suggerita da falsi indizi), è costantemente smentita dai fatti, in cui le azioni dei personaggi, imprevedibili e ingiustificate (o ingiustificabili?), sono l’unica logica trainante. Il lavoro di Brautigan consiste spesso nel fermare l’istante e nel contemplarlo, alla ricerca di una forma narrativa del presente assoluto, in cui le cose accadono nel momento stesso in cui vengono lette. Una narrativa quindi in cui si verifica la possibilità di una coincidenza, trasferita nella sfera dell’immaginario, tra il processo della scrittura e quello della lettura, resi equivalenti da una scelta testuale piuttosto che sintattica. Brautigan si dichiara manipolatore e non artefice (come è lo scrittore nella cultura sintattica) e collabora con il lettore a una delle tante stesure possibili del romanzo. Evoca una sorta di proliferazione di connessioni spontanee che scacciano la rigida consequenzialità di causa ed effetto, della necessità di rese semantiche, e lasciano autore e lettore uniti nell’estasi di un racconto senza fine apparente.

E le sorelle Logan?

Dimenticale.


Marcos y marcos
Online Source: http://www.marcosymarcos.com/brolli%20su%20brautigan.htm(external link)